di FULVIO ANANASSO, Presidente di Stati Generali dell’Innovazione e Consigliere CDTI
La siccità in atto rischia di diventare una vera emergenza nazionale. L’Italia non è povera di acqua piovana, ma non ne immagazzina abbastanza, anche a causa di scarsi investimenti per riqualificazione idro-geologica dei territori, bacini idrici e relativa manutenzione. Oltre al problema delle perdite idriche nelle reti di distribuzione.
Articolo pubblicato il 02.03.23 in K4Biz Ambiente; Siccità e fabbisogni idrici: che fare? (key4biz.it)
Premessa
L’acqua, il ciclo di gestione e i servizi correlati – tipica declinazione del paradigma dell’economia circolare – sono elementi imprescindibili per il benessere delle persone, lo sviluppo economico e la sostenibilità ambientale. Il settore è in continua evoluzione per migliorare la salvaguardia della risorsa idrica e garantirne il riuso, grazie anche all’utilizzo delle tecnologie. Non a caso, tra i 17 Sustainable Development Goal (SDG) dell’Agenda ONU 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, al tema dell’acqua sono dedicati vari obiettivi: i goal 6 (“Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie”) e 14 (“Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile”), il correlato goal 13 (“Adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze”) e – relativamente alle reti di distribuzione – il goal 9 (“Infrastrutture, Imprese e Innovazione”).
La persistente e generale siccità degli ultimi anni ha portato all’attenzione di tutti la carenza di disponibilità della risorsa idrica a causa del cambiamento climatico. La città di Roma ha dovuto attingere dal lago di Bracciano nell’estate 2017, i ghiacciai si ritirano costantemente, le nevicate sono in continua riduzione, il “grande” fiume Po è ridotto a pietrisco in vari tratti e l’acqua marina risale nel letto per decine di km con danni enormi all’irrigazione e fauna di acqua dolce, la (ridotta) pioggia è spesso concentrata e alluvionale, causa di inondazioni più che ricarica delle falde, ecc.
Oltre ai cambiamenti climatici, fattori (almeno in parte) antropici come l’inquinamento, dissesti idro-geologici, eventi atmosferici estremi, … accrescono la pressione su infrastrutture e sistemi idrici, fortemente sollecitati dai processi di urbanizzazione e dallo sviluppo economico che hanno avuto, negli anni, un impatto diretto sull’aumento della domanda di acqua. Le politiche per la gestione efficiente, efficace e sostenibile dei servizi idrici rientrano peraltro tra gli obiettivi del PNRR, ma al momento solo 900 milioni di euro sono previsti entro il 2026 per la riduzione delle perdite idriche, in aggiunta ai 480 milioni finanziati dal programma europeo React-Eu. Risorse largamente insufficienti: l’OCSE stimava nel 2013 almeno 2,2 miliardi di euro all’anno per 30 anni per metterci al passo con il livello di manutenzione e prestazioni delle reti nel resto UE!
Fonti e fabbisogni idrici
Come noto, la superficie terrestre è coperta per la maggior parte da distese di acqua, solo il 4% circa dolce. Questa piccola frazione di acqua dolce è costituita per il 68% circa da ghiacciai, 30% da acqua di falda e solo lo 0,3% da laghi di acqua dolce, il resto diviso tra altri tipi di fonti idriche come permafrost, umidità nel suolo, fiumi e paludi.
L’OCSE stima che la domanda globale d’acqua crescerà entro il 2050 del 55% rispetto al 2000, con il 70% destinata all’agricoltura, il 20% all’industria e il 10% al consumo civile nel 2018. In Italia, nel 2018 il 54% dell’uso idrico era destinato all’agricoltura, il 21% all’uso industriale, il 20% all’uso civile e il 5% all’uso energetico. Con i nostri 33 miliardi di metri cubi d’acqua all’anno per i vari usi, l’OMS ci considera un Paese a stress idrico medio-alto, poiché utilizza oltre un terzo delle sue risorse idriche rinnovabili (in crescita del 6% ogni 10 anni) e preleva acqua dolce per la stragrande maggioranza dalle acque sotterranee, circa 84,8% in media. A parte la Sardegna (attorno al 20%), tutte le altre Regioni prelevano dalle acque sotterranee oltre il 75% del fabbisogno.
Tra le diverse tipologie di uso della risorsa idrica, assume particolare rilevanza il comparto relativo al potabile, viste le dirette conseguenze sul sistema socioeconomico, benessere e abitudini delle persone. Secondo dati ISTAT, il prelievo di acqua potabile sul territorio nazionale ha subìto una riduzione a partire dal 2015 in poi (primo calo nei 20 anni precedenti), dai 9,4 miliardi di metri cubi a 8,2 miliardi nel 2018. Il consumo pro capite di acqua potabile si attesta intorno ai 215 litri al giorno, rispetto a 220 litri del 2015. Seppure in calo, esso è sempre molto maggiore degli altri Paesi europei, la cui media giornaliera è di circa 125 litri / persona (dati Eurostat).
Dopo le temperature record del 2022, il 2023 non sembra invertire lo scenario di siccità, ma semmai peggiorarlo, in Italia e diversi Paesi europei, a causa del clima sempre più caldo. L’Intergovernmental Panel On Climate Change (IPCC) dell’ONU stima una riduzione del 20% della disponibilità di risorse idriche ogni grado di aumento della temperatura terrestre. E lo scienziato Roberto Battiston osserva “Nell’epoca pre-industriale la quantità di CO2 era di 3 parti su 10 mila. Negli ultimi 150 anni è salita a 4 parti su 10 mila. Sembra poco, ma questo ha prodotto un aumento della temperatura media mondiale di circa un grado e mezzo“.
Il deficit di precipitazioni è persistente, associato a temperature sopra la media che peggiorano l’evapotraspirazione (evaporazione da suolo, fiumi, laghi e bacini associata a traspirazione delle piante), particolarmente forte nella Pianura Padana. I grandi laghi e fiumi del Nord sono in sempre maggiore sofferenza. Il lago di Garda era circa un metro e mezzo sopra il livello zero nel 2021, un metro nel 2022 e meno di mezzo metro nel solo inverno del 2023, con prospettive di seria preoccupazione man mano che ci avviamo verso le stagioni più calde e secche. Come già osservato, il fiume Po continua ad essere sotto i livelli dello stesso periodo dello scorso anno, con -61% di precipitazioni e oltre 40 km nei quali l’acqua salata risale dalla foce nell’alveo del fiume. La neve, soprattutto sulle Alpi, registra un -53%, ampiamente al di sotto dei valori medi del decennio 2011-2021, e risulta del tutto insufficiente a garantire le scorte fondamentali per rifornire di acqua fiumi e laghi nelle stagioni più calde (CIMA Research Foundation).
Invasi idrici
La grande siccità dell’estate 2022 ha evidenziato la nostra vulnerabilità sull’approvvigionamento idrico in situazioni di carenza di precipitazioni consistenti e conseguenti riserve nelle falde acquifere. L’attuale sistema degli invasi idrici artificiali non basta a garantire acqua in condizioni di grave siccità, sia per carenza di investimenti / manutenzione degli impianti che per dissensi tra stakeholder.
Oggi la percentuale di acqua piovana immagazzinata nei nostri bacini (347 laghi, 526 grandi dighe e circa 20.000 piccoli invasi) è stimata all’11,3%, contro circa il 15% di 50 anni fa, nonostante il livello di precipitazioni non risulti (dai dati disponibili) molto cambiato da allora. Sul nostro Paese piovono in media 302 miliardi di metri cubi di acqua all’anno (più della Gran Bretagna), con 2/3 del territorio (montagne e colline) sopra la media. Nonostante ciò, stocchiamo sempre meno acqua piovana (9 miliardi di mc in meno rispetto a 50 anni fa), sia a causa dei depositi di sedimenti (“sfangamenti”) che riducono – se non rimossi – la capienza effettiva degli invasi, sia per la carenza di nuove infrastrutture che tengano conto delle modifiche nelle tempistiche stagionali delle piogge.
Mancherebbero all’appello almeno 2.000 piccoli e medi invasi artificiali per la raccolta di acqua piovana, che ovviamente non potrebbero risolvere da soli i problemi idrici, ma ovvierebbero a vari problemi. Si pensi alla “laminazione delle piene” grazie alla gestione dei rilasci delle dighe nei fiumi, per evitare piene ed inondazioni in presenza di precipitazioni eccezionali e garantire il flusso negli ecosistemi fluviali nei periodi più siccitosi. O all’impiego come depositi d’acqua prelevabile da velivoli di contrasto agli incendi boschivi, alle centrali idroelettriche nelle dighe per generare energia.
Gli investimenti per tali infrastrutture idriche sono però pressoché fermi dagli anni ’60, e un primo set di interventi è previsto nel PNRR per le opere idriche. Risulterebbero 223 progetti esecutivi di invasi medio-piccoli (sostanzialmente per l’irrigazione agricola) presentati dall’Associazione Nazionale dei Consorzi di Bonifica (ANBI) e Coldiretti, all’interno di un piano complessivo che punterebbe a realizzare 10.000 impianti di questo tipo entro il 2030 in zone collinari e di pianura.
Riduzione / ottimizzazione dei fabbisogni
Tuttavia, i bacini idrici antisiccità incontrano non poche voci critiche. Ad esempio, il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale (CIRF) afferma che “la costruzione di nuovi invasi non può essere la soluzione alla crisi idrica, il luogo migliore dove stoccare l’acqua è la falda“. La grave siccità andrebbe affrontata nelle cause e non nei sintomi, non realizzando ulteriori bacini artificiali senza rivedere sperperi del modello agricolo intensivo. L’analisi del CIRF parte dal fatto che la grave crisi idrica in corso è da inquadrare nel cambiamento climatico, e va messo in discussione come viene utilizzata la risorsa (limitata) acqua, di cui l’agricoltura è la maggiore utilizzatrice, con circa il 54% dei consumi totali (ANBI). Pertanto, più dei danni causati all’agricoltura dalla siccità, occorrerebbe considerare la “sostenibilità” della produzione di cibo, che spesso consuma troppa risorsa idrica, e ripensare alle produzioni agricole meritevoli di essere incentivate o disincentivate, privilegiando quelle meno idro-esigenti all’interno del PSP — Piano Strategico della PAC (Politica Agricola Comune).
C’è poi la questione della perdita di biodiversità dei suoli. ISPRA stima che il 28% del territorio italiano presenta carenza non solo di acqua, ma soprattutto di sostanze chimiche organiche che ne contrastino la desertificazione con la capacità di trattenere acqua e nutrienti. Occorrerebbe quindi agire a monte, adottando prioritariamente misure mirate alla prevenzione del degrado dei suoli, all’incremento della loro funzionalità ecologica e capacità di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche — oltre alla riduzione delle perdite idriche nelle reti di distribuzione.
La “riduzione dei fabbisogni” dovrebbe quindi rappresentare la prima priorità, e poi considerare eventualmente nuovi bacini artificiali. Anche considerando che nuove dighe avrebbero comunque un forte impatto sui sistemi idrografici e sull’equilibrio idro-geologico dei territori. Esse comportano sedimenti, incisioni degli alvei, erosione costiera, … fattori primari di depauperamento delle falde freatiche imputati alla siccità, da combattere con nuove dighe?
Inoltre, gli invasi perdono molto per “evapotraspirazione”, oltre 10.000 mc all’anno per ettaro di superficie idrica che passano nell’aria per effetto congiunto dell’evaporazione e della traspirazione della vegetazione, in misura maggiore al Sud in proporzione all’aumento delle temperature medie. E soprattutto negli invasi di minori dimensioni (ad esempio collinari), dove l’acqua può raggiungere temperature elevate, si può assistere alla formazione di condizioni anossiche, fioriture algali e sviluppo di ciano tossine, che compromettono il successivo utilizzo di queste acque.
Di qui l’asserita convenienza di stoccare l’acqua nelle falde, i cui sistemi di ricarica controllata costerebbero e consumerebbero molto meno territorio (sarebbe quindi più agevole trovare siti idonei) rispetto agli invasi. Si parla di 1,5 euro per mc di infiltrazione annua, mentre per gli invasi i costi ammontano a 5-6 euro / mc di volume invasabile. Secondo questa linea di pensiero, occorrerebbe quindi concentrarsi, piuttosto che su nuovi bacini, sulla riqualificazione morfologica ed ecologica dei corsi d’acqua, recuperandone depauperamenti e degradazioni subite nel tempo, riconnettendo le pianure alluvionali, ripristinando fitte formazioni boschive nei territori, facendo sì che le precipitazioni, anche le più intense e concentrate, permangano più a lungo sul territorio invece di scorrere velocemente a valle, provocando danni e non stoccaggi. E inoltre desalinizzando le acque marine, depurando quelle reflue, de-impermeabilizzando le aree urbane, e adottando pratiche colturali che massimizzino il contenuto di sostanza organica nei suoli e la loro capacità di assorbire le piogge e trattenere umidità e nutrienti, un incremento dell’1% di sostanza organica può garantire fino a 300 mc in più per ettaro di accumulo idrico nel suolo.
Perdite della rete idrica
Il Rapporto ISTAT Acqua 2022 (riferito al biennio 2019-2021) ha evidenziato come l’obsolescenza degli impianti causi una dispersione media del 36,2% rispetto a quanto immesso nella rete. Valore in calo, fortunatamente, rispetto al 41,4 % del rapporto ISTAT 2021 riferito al biennio 2018-2020 (10 punti in più rispetto al decennio precedente), ma comunque oltre un terzo dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione va persa e non raggiunge il consumatore finale!
Le perdite idriche risultano comunque in generale diminuzione, grazie anche all’impulso positivo della regolamentazione, alla presenza di Operatori industriali che si occupano dell’intero ciclo idrico integrato e al ricorso alle nuove tecnologie. Si pensi alle tecniche ingegneristiche più evolute per la gestione di reti ed impianti, all’utilizzo di information & communication technologies (ICT), fino alle simulazioni digital twin e robotica avanzata.
Una decisa e compiuta trasformazione digitale del settore idrico potrebbe dare un impulso determinante al suo efficientamento, attraverso l’interconnessione e gestione coordinata delle diverse componenti del processo produttivo. Ad esempio, tramite sensori IoT (internet of things) nelle infrastrutture di rete per la razionalizzazione della manutenzione, la regolazione dei flussi, il risparmio del fabbisogno energetico e la riduzione dell’inquinamento. E anche per calibrare gli standard di prestazione e fornitura ai singoli utenti in base alle specifiche necessità e richieste nell’arco della giornata, grazie all’accresciuta flessibilità del processo produttivo. E così via.
Conclusioni
Fiumi e laghi italiani sono in grande sofferenza, in uno stato di emergenza siccità mai rientrata, ma purtroppo in peggioramento. Si registra al momento il 53% in meno di neve sull’arco alpino, e un deficit del 61% nel bacino del Po. Nei prossimi mesi, la domanda di acqua per uso agricolo si aggiungerà agli attuali usi civili e industriali già in sofferenza e il fabbisogno nazionale potrebbe risultare insostenibile rispetto alla disponibilità di risorse idriche. È pertanto essenziale agire senza indugio con decisi interventi trasformativi basati su digitalizzazione e innovazioni di processo che, insieme ad investimenti mirati per la riqualificazione morfologica e idro-ecologica di territori e aree urbane (de-sealing), oltre a nuovi possibili bacini artificiali di stoccaggio idrico, mitighino il rischio di una gravissima emergenza idrica dai potenziali seri rischi socioeconomici.
È auspicabile l’utilizzo di sistemi ICT di nuova generazione per il monitoraggio e controllo delle reti, mediante rilevamento (automatico) dei principali parametri ambientali, fisici, chimici, meccanici, … delle infrastrutture per poterne stimare lo stato di salute e simularne (analogamente ai “digital twin”) i comportamenti futuri e i tempi di possibili defaillance (più o meno serie), permettendo di prendere in tempo utile le opportune contromisure di ‘manutenzione predittiva’.
Occorre costruire un sistema informativo di governance, pianificazione e valutazione in base alle esigenze dei vari stakeholder, con monitoraggio continuo e capillare delle risorse attraverso informazioni costantemente aggiornate e sempre maggior dettaglio territoriale. Un efficiente Catasto delle Reti Idriche di Distribuzione – già in parte incluso nel SINFI, che potrebbe essere utilizzato come “cruscotto” informativo – rappresenterebbe il fulcro centrale per una efficace strategia di monitoraggio, valutazione, problem solving e decision making per arginare e cercare di ovviare ai problemi indotti dalla siccità.
Sostanzialmente occorrerebbero – eventualmente sotto la supervisione del Commissario straordinario di cui si sta discutendo a livello Governativo -: (i) una mappatura capillare delle infrastrutture idriche, (ii) norme-quadro vincolanti che equiparino il monitoraggio / prevenzione di carenze infrastrutturali agli obblighi di sicurezza delle infrastrutture critiche, (iii) key performance indicators (KPI) da imporre agli Operatori sulle prestazioni delle reti di distribuzione e (iv) una effettiva trasformazione digitale del settore, con sistemi di monitoraggio e gestione basati su piattaforme tecnologiche di raccolta, analisi e gestione dei dati IoT, in grado di elaborarli tramite algoritmi AI per efficaci problem solving & decision support systems (DSS).
Riferimenti
https://www.usgs.gov/special-topics/water-science-school/science/how-much-water-there-earth