Relazione introduttiva di Massimo Di Virgilio alla Festa di Natale del Club CDTI di Roma
Permettetemi, in esordio, di ringraziare, prima di tutto, la D.ssa Paesano, Direttrice della Biblioteca Vallicelliana, per averci concesso la sua ospitalità nel maestoso salone Borromini, cuore di uno dei grandi luoghi d’arte romani, che il grande architetto progettò e realizzò a metà del Seicento all’interno del complesso della Chiesa di Santa Maria in Vallicella, conosciuta a Roma come Chiesa Nuova. Qui sono custoditi circa tremila manoscritti, soprattutto latini e greci, che costituiscono un patrimonio inestimabile della cultura del nostro Paese, di cui siamo naturalmente tutti orgogliosi. La scelta di questo luogo è stata opportunamente mirata sia per soddisfare un gusto estetico, che nobilita la nostra Festa, sia per cogliere il genius loci che in esso aleggia, con la speranza che il suo spirito possa sostenere ragionamenti e propositi, di sicuro valore, che
i relatori apporteranno alla nostra tavola rotonda.
Consentitemi, immediatamente dopo, di fare un secondo ringraziamento speciale ai Mentor, perché sono loro la colonna portante di CDTI FUTURA, il progetto che dal 2019, con due sessioni , e dal 2021,in forma stabile, portiamo avanti con grande determinazione, affiancando una ventina di startup, ogni anno; è alla loro passione e alla loro disponibilità se siamo nelle condizioni di seguirle in un percorso di mentorship e di successivo networking che possiamo ritenere, alla luce dei risultati e dei lusinghieri giudizi degli stessi startupper, di assoluto valore e utilità.
Fatti questi due doverosi passaggi, vado al nocciolo della riflessione, provando a ragionare sulle tre grandi rivoluzioni che stiamo vivendo: rispettivamente economica e tecnologica, sociale e democratica e geopolitica; per aiutarmi annoto quanto scriveva in proposito il prof. Cassese, il 26 novembre, sul Corriere della Sera:” l’ordine globale era una illusione, ……siamo più vulnerabili…..sono in corso circa cinquantanove guerre…. i conflitti armati nel decennio scorso sono stati trecentottantotto”; probabilmente, accentuando le considerazioni a margine del prof. Cassese, ci eravamo illusi che, tessendo una fitta ragnatela di commerci, questi potessero sostenere in forma più o meno soft, ma stabile, tutta l’impalcatura della globalizzazione; ma
la realtà, purtroppo, non sembra avvalorare questa tesi.
In uno scenario così fosco, le considerazioni sull’Italia non sono meno preoccupanti: “Un Paese di «sonnambuli», un fenomeno non imputabile solo alle classi dirigenti, ma alla «maggioranza silenziosa» degli italiani, ciechi dinanzi ai presagi; un Paese dalle mille scie divergenti, ma nessuno sciame”, come scrive il Censis nel suo cinquantasettesimo rapporto, presentato il 2 dicembre scorso. Qualche ulteriore aggiunta molto significativa: i giovani sono in fuga, 36.000 gli expat tra 18 e 34 anni, solo in questo 2023. “Italiani resi più fragili dal disarmo identitario e politico, al punto che il 56,0% (il 61,4% tra i giovani) è convinto di contare poco nella società. Feriti da un profondo senso di impotenza, se il 60,8% (il 65,3% tra i giovani) prova una grande insicurezza a causa dei tanti rischi inattesi. Delusi dalla globalizzazione, che per il 69,3% ha portato all’Italia più danni che benefici. E rassegnati, se l’80,1% (l’84,1% tra i giovani) è convinto che l’Italia sia irrimediabilmente in declino”. Sarebbe bene se ci interrogassimo ancora di più per capire le ragioni che hanno portato verso l’estero 5,9mln di italiani.
Veniamo al mondo dell’ICT, in cui siamo tutti impegnati, scusandomi se parto da lontano nel ricordare, senza alcuno spirito nazionalista o sciovinista, come direbbero i francesi, e senza alcuna retorica, che negli anni ’60 avevamo la leadership in settori avanzati e strategici come l’informatica, il nucleare e la chimica; siamo stati, poi, protagonisti nel settore delle telecomunicazioni (e.g. telefonia cellulare), dell’elettronica di consumo, dell’automotive, della farmaceutica, così come in altri campi; primati che però abbiamo inesorabilmente perso, probabilmente non solo per nostre incapacità, ma certamente con una miopia suicida.
Dovendo e volendo essere realisti, senza farci trascinare da dati e statistiche ballerine e altalenanti (nel 2023 in Italia cresce la spesa Ict delle imprese e il mercato vola a 39 miliardi 2, scrive il Sole24Ore, il 21 novembre), dobbiamo prendere atto che esiste un mondo che viaggia alla velocità della luce rispetto a noi, dove una sola azienda è capace di investire tredici (sic!) miliardi di dollari su una iniziativa, di cui proprio in questi giorni ricorre il primo anno di attività, mentre noi abbiamo dimensioni lillipuziane, ben sapendo che il nostro gap non è solo dimensionale. Non spettando a me in questa sede fare lunghe analisi, ma promettendo di organizzare ulteriori occasioni dedicate per tornare su un argomento così delicato, mi impegno ad essere telegrafico, conscio che il tema non è complicato ma complesso. Nel rispetto di questo assunto, avendo molti di noi coltivato l’arte dell’imprendere, sappiamo che serve altra complessità per risolvere problemi appartenenti a questa categoria; ma siamo anche consapevoli con il pragmatismo che ci contraddistingue, che non abbiamo davanti
tante strade; perciò, come si fa nel mondo delle imprese, dobbiamo inventariare le risorse a disposizione, valutarle e poi, utilizzandole nel modo più efficace ed efficiente possibile, concentrarle nelle direzioni prescelte. A meno di non commettere errori marchiani, credo si possa essere tutti d’accordo nel convenire che la risorsa più preziosa che abbiamo è l’intelligenza, distribuita a piene mani nelle università, nelle istituzioni, nelle amministrazioni e nelle imprese; affermazione che faccio convintamente, confortato da ciò che un importante professore della Sapienza mi ha detto qualche giorno fa: “ci sono due campi in cui noi siamo polo di attrazione mondiale per studenti di tutti i paesi, inclusi gli USA, e sono rispettivamente: “gli studi classici e di storia antica” e la “Fisica”. Se ciò è vero, come è vero, il nostro Paese, non ostante i continui e colpevoli sperperi, può contare su una freschezza e una vivacità intellettuale di prima grandezza, che spetta a noi, utilizzando un’espressione che ricorre spesso, avere la capacità di scaricare a terra.
Faccio questa affermazione a nome di FIDAInform, una associazione di migliaia di persone, appartenenti alla specie dell’homo informaticus, come usa dire uno dei nostri fondatori, soci e simpatizzanti di ASSI Bologna, CTI-ER Ferrara, CTI Genova, CTI Milano, AIPSI Milano, CDTI Roma e CDI Torino, che sono impegnati a fare la loro parte, come compete ad ogni comunità che voglia ricoprire oltre ad un ruolo specifico nel mondo ICT anche quello di una cittadinanza attiva, attenta alle rilevanti implicazioni che la trasformazione digitale porta con sé. Tra le diverse attività, permettetemi di ricordare il valore di CDTI FUTURA, la più recente esperienza condivisa tra tutti i Club, con la quale abbiamo messo a disposizione (pro bono) delle startup, imprenditori, manager e professionisti (i Mentor) impegnati in percorsi di mentorship mirati. Senza autocelebrazioni, possiamo dire di aver centrato l’obiettivo, come potranno testimoniare i molti startupper presenti, tre dei quali partecipanti alla tavola rotonda, ai quali va il mio saluto più affettuoso. A questa positiva esperienza giova poi aggiungere quelle fatte a sostegno delle MPMI, con le quali, ci tengo a sottolinearlo, abbiamo ottenuto risultati estremamente importanti su temi di assoluto rilievo, quali revisione delle modalità di realizzazione degli appalti pubblici e creazione di reti d’impresa.
Giunto a questo punto, provvedo a dare il via a questa tavola rotonda, ringraziando, naturalmente moltissimo, tutti coloro che hanno accettato il nostro invito, porgendo loro una domanda molto chiara: un networking (ancora) più virtuoso per lo sviluppo del Paese è (ancora) possibile?
Interrogativo con il quale vogliamo aprire un dibattito franco per capire se, stanti le contingenze di cui abbiamo sin qui parlato e condivisa la complessità della situazione, l’attuale modello sia ritenuto adeguato a reggere l’impatto delle epocali trasformazioni in corso, o se non sia necessaria una nuova politica industriale capace di dare una svolta alla stagnante situazione in essere. In aggiunta, domando se, in parallelo, le imprese non ritengano giunto il momento di ripensare il modello “verticale”, attualmente imperante, fatto di catene in cui si producono frammentazioni e subappalti, capovolgendo la grammatica sin qui adottata in una direzione “orizzontale”, la quale, con una logica di “rete”, possa ridisegnare letteralmente la tipologia e la topologia delle relazioni, assegnando a tutte le forze in campo quel ruolo pieno da protagonisti che oggi probabilmente non hanno.
Una cosa è certa: se restiamo ingessati nella configurazione attuale, come i fatti dimostrano, non abbiamo grandi chance, autocondannandoci a vivere un futuro irrimediabilmente buio.
Mi fermo qui e passo la parola ai partecipanti alla tavola rotonda, restando nel ruolo di moderatore, non prima di aver ringraziato moltissimo ciascuna/o dei relatori per aver cortesemente accettato il nostro invito.